Giochi sul/nel camino

Archivio per la categoria ‘Opening the box…’

Rifornimenti post atomici

Futuro improbabile quello che fa da scenario a Kero, l’ultimo sforzo della svizzera Hurrican, distribuito in Italia da Oliphante. Un futuro (siamo nel 2471) in cui tutto sembra ruotare intorno al Kero (o cherosene, che dir si voglia). Un’ambientazione non particolarmente originale, ma che resta sempre di appeal per i progettisti di giochi: parlo naturalmente delle atmosfere assolate e polverose alla Mad Max, delle lotte fra bande, delle corse sulle piste salate dei deserti post-atomici. Un’ambientazione da cui si è lasciato sedurre anche Prospero Hall, già in evidenza in questo 2018 con un altro gioco interessante: Villanious.
Kero è un gioco da due giocatori che, al controllo di due bande di sopravvissuti, cercano di esplorare nuovi spazi in cui condurre ai loro clan una vita un po’ più agiata e sicura. Ma muoversi lungo i deserti con il cherosene che scarseggia non è una cosa semplice: le insidie sono numerose e il tempo è sempre troppo poco, così come la possibilità di rifornire i propri esploratori che, in sella a moto o a fuoristrada, devono trovare il modo di esplorare e controllare spazi geografici sconosciuti. Il tutto evitando che il clan avversario non abbia avuto la stessa idea e cerchi di rendere la vita ancor più difficile di quanto già non sia.

Due e non più di due

Un ambiente ricorrente quindi, che affonda la sua storia nei boardgames degli anni ’80, in particolare – ma solo come ambientazione – in quei prodotti à la Car Wars che sono stati scuola per una sterminata serie di giochi da tavolo. Infatti Kero non è un gioco di corse automobilistiche e neppure un gioco di duelli all’ultimo sangue su piste aride e polverose, ma un pacato (si fa per dire) gioco di accumulo risorse ed esplorazioni.
Lo svolgimento in due fasi rappresenta il cuore del gioco: una prima – di rifornimento – che vede il giocatore non di turno lanciare una manciata di dadi nel modo più rapido possibile per cercare di ridurre al massimo i tempi di rifornimento del giocatore avversario. Il rifornimento avviene infatti escludendo progressivamente, dal lancio degli otto dadi, tutti quelli in cui compare una fiamma sulla faccia superiore. Durante questa fase il giocatore di turno tiene il suo camion-clessidra in posizione verticale, permettendo al carburante di accumularsi sul lato visibile); la seconda fase – quella di raccolta risorse e esplorazione – permette invece al giocatore di turno di lanciare gli stessi dadi scegliendo i risultati ottenuti, il tutto nei tempi imposti dallo scorrere del carburante all’interno del camion-clessidra. La raccolta dei simboli permetterà di acquisire carte, particolari bonus e di inviare esploratori verso missioni di esplorazione.
Tutto qui.
Il resto è un semplice posizionamento di pedine, una scelta condizionata dalla fretta che spesso si tramuta in danni e rimpianti, ma anche in conquiste e accumulo di punti.
Nel gioco c’è anche una presenza benevola, una sorta di tribù Tuareg, che aiuta i giocatori in caso di difficoltà e che può addirittura svelarsi risolutiva in caso di impasse (come nel caso in cui si rimanga a corto di carburante mentre si stanno svolgendo delle azioni di raccolta risorse).

Tre turni per concludere

Il gioco si dipana su tre turni generali cadenzati dalla pesca di tre carte speciali posizionate all’interno del mazzo principale, secondo uno schema noto e abbastanza diffuso (il meccanismo è quello di Alhambra, tanto per intenderci). Le tre carte consentono ai giocatori di accaparrarsi le regioni in cui possiedono la maggioranza degli esploratori, i quali tornano al campo-base pronti a essere nuovamente impiegati nelle successive missioni.
Con l’ultima carta pescata il gioco ha fine dando l’avvio alla fase di conteggio dei punti. Una partita dura fra i 30 e i 50 minuti a seconda del grado di esperienza dei giocatori.

Fumetti alla Mad Max, materiali di qualità

Kero è un gioco particolarmente curato dal punto di vista grafico. Le illustrazioni fumettistiche sono a cura di Pierô (illustratore francese già noto per il design art di Mr. Jack e Ghost Stories), illustrazioni precise, leggermente tormentate, ma nel complesso piacevoli. I materiali sono di alto livello (a parte forse qualche imprecisione nelle fustelle); il packaging è curato, con scomparti in plastica modellati precisamente e senza sbavature, che ritraggono in rilievo l’illustrazione della scatola; le carte sono telate e piacevoli da maneggiare. Peccato per il fatto che non si possano imbustare, visto che l’ergonomia precisissima del contenitore non lo permetterebbe. Le clessidre – che determinano il tempo a disposizioni per condurre le azioni di rifornimento/raccolta – sono foggiate a mo’ di camion da trasporto carburanti, modellini ben curati e resistenti, che tuttavia lasciano qualche perplessità circa il periodo in cui si svolge la vicenda.
Siamo nel 2471, vivaddio… è possibile che fra 250 anni si utilizzeranno ancora camion cisterna con la stessa forma e dimensioni di quelli attualmente in circolazione?

Materiali ben curati e di alta qualità

Considerazioni generali

Il manuale di gioco, tradotto in italiano, è chiaro, ben curato e facilmente consultabile e permette di giocare il gioco quasi immediatamente, sempre che si abbia una certa dimestichezza con i bg. La struttura di gioco è infatti non immediata per un profano, mentre non presenta difficoltà a chi abbia una media competenza ludica.
Il continuo lancio di dadi che caratterizza le fasi di gioco lo potrebbero far pensare a un prodotto in cui la fortuna svolga un ruolo di rilievo, ma non è così. Sono le decisioni al limite della frenesia che fanno di Kero un gioco particolare, piacevole e abbastanza originale. L’unico problema è la ripetitività un po’ ossessiva delle fasi, che ne riduce un po’ la rigiocabilità e che ne determina quella vaga sensazione di freddezza. Il fatto poi che sia un prodotto limitato a due giocatori riduce ulteriormente il margine di appeal per un prodotto che – sebbene non sia un capolavoro – fa comunque la sua discreta figura.

Originalità: ⭐️⭐️⭐️

Ambientazione: ⭐️⭐️⭐️

Grafica e materiali: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Longevità: ⭐️⭐️⭐️

Presentazione e manualistica: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Il packaging di Kero è millimetrico. Peccato non poter avere lo spazio per le carte imbustate

Lupin the 3rd – Recensione in anteprima

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Dopo qualche anno di emulazione sfrenata dei sistemi tedeschi, con riproposizioni più o meno riuscite di schemi e meccanismi tipici della produzione nord europea, il mondo italiano dei boardgames sembra da qualche tempo dirigersi verso mondi diversi. Dire che si stiano prendendo strade alternative e originali è difficile, ma quello che è certo è che produttori e progettisti nazionali di giochi da tavolo – a parte le innumerevoli riproposizioni in lingua italiana di prodotti stranieri – stanno finalmente cercando di percorrere strade nuove, sia per temi trattati sia per meccanismi prescelti.
È il caso di Lupin the 3rd, ultima novità di casa Ghenos games, che unisce un background di forte attrattiva a un meccanismo di gioco che ha molto degli Ameritrash più riusciti, con il colore e il coinvolgimento di un classico sistema di gioco basato sulla collaborazione, anche se con caratteristiche, lo vedremo, assai diverse dal consueto.

Ambientazione di successo

Non so moltissimo di Lupin the 3rd, se non per quel labile legame che lo lega al più attempato Arsène Lupin, eroe negativo della mia infanzia. Lo conoscono invece benissimo le generazioni più giovani, quelle che – da Goldrake e Mazinga, tanto per intenderci – hanno avuto la fortuna di crescere accompagnati dal fascino della fumettistica giapponese moderna. Ed è proprio a loro che è destinato il gioco prodotto dall’italiana Ghenos Games, azienda che ha saputo unire un tema di sicuro successo a un meccanismo interessante e innovativo, progettato da una new entry del mondo dei boardgames nostrani, Pierluigi Frumusa, designer che vanta tuttavia un’esperienza pluridecennale come esperto di giochi da tavolo.
Il soggetto è noto, vista la fortuna che ha incontrato il suo disegnatore, il giapponese Kazuhiko Kato, a partire dal 1967: Lupin III, dinoccolato ladro di professione, affiancato dai tre personaggi che formano la sua inossidabile banda, si trova ad affrontare, in occasione di una serie di furti e rapine, il nemico di sempre, l’ispettore dell’Interpol Koichi Zenigata, supportato da uno stuolo di agenti di polizia.
Le dotazioni di gioco ricreano, su una mappa double face, l’ambientazione delle due missioni previste (in Svizzera e Birmania), su cui si muovono miniature predipinte sullo stile di The Adventurers, che raffigurano i personaggi in gioco. Le mappe colorate, in prospettiva dall’alto, presentano ambienti urbani, prati, giardini, edifici a più piani, abitazioni civili. La grafica è nel complesso piacevole, così come quella dei mazzi di carte che costituiscono equipaggiamenti e attitudini dei vari personaggi durante lo svolgimento del gioco. Riprendere i bozzetti dell’anime giapponese ha certamente agevolato il designer grafico, che tuttavia ha organizzato il materiale in modo gradevole e convincente, senza strafare, lasciando completamente al prodotto quel fascino fumettistico che contraddistingue i disegni originali.
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Meccanismi di cooperazione imperfetta

Nel corso della partita i giocatori impersonificano i componenti della banda di Lupin (tutti con le qualità che li caratterizzano e con le abilità che li contraddistinguono), mentre uno di loro controlla l’ispettore Zenigata e le forze dell’ordine.
Sebbene il gioco venga presentato come un collaborativo, non si tratta tuttavia di un sistema alla Pandemic, tanto per intenderci, basato cioè su pianificazioni accurate per cercare di ovviare ai problemi causati dal meccanismo automatico del gioco. Le pianificazioni ci sono certamente in Lupin the 3rd, ma sono finalizzate a contrastare le attività di un giocatore umano, con quell’imprevedibilità e quella varietà decisionale che i meccanismi automatici non possono certamente garantire.
Rispetto però ai classici giochi collaborativi, quello che caratterizza Lupin the 3rd è qualcos’altro: si tratta cioè di quello che viene definito dal suo progettista come un sistema di “cooperazione imperfetta”. Uno dei giocatori infatti, colui che impersonifica il personaggio di Fujiko Mine, elemento femminile dalle grandi (è il caso di dirlo) capacità seduttive, può rivelarsi un problema e mandare a monte l’operazione. Si sa infatti che Fujiko possiede un carattere “autonomo” e che non perde l’occasione – anche a costo di mandare a monte le accurate pianificazioni di Lupin e compagni – di sfruttare il proprio fascino per ottenere consistenti vantaggi personali. Oltre alle due parti contrapposte potrebbe celarsi quindi, nel comportamento di uno dei personaggi (non è infatti detto che Fujiko prenda la strada del tradimento), un elemento di devianza tale da rendere il corso del gioco ancora meno prevedibile e variabile. Per Lupin i problemi raddoppiano, per Zenigata aumentano, per Fujiko diventano una scommessa contro il tempo.

Movimenti nascosti e rivelati

Le miniature utilizzano una griglia quadrata per muovere, per calcolare le traiettorie di tiro (ci si spara spesso in Lupin the 3rd) e per valutare le linee di vista. Il sistema di gioco impone una programmazione preliminare delle operazioni, limitata nel tempo, seguita successivamente dall’applicazione delle mosse. Migliore è la programmazione del colpo, più alte sono le possibilità di creare problemi a Zenigata e aiutanti. Naturalmente – per simulare la simultaneità dei movimenti e per ricreare le azioni nascoste – i personaggi muovono secondo quanto stabilito, ma in maniera non palese, segnando i propri spostamenti su tabelle personali che illustrano la mappa in gioco. Il movimento può essere controllato, anche se ciò crea pur sempre un rallentamento del sistema. Come per altri prodotti storici (un esempio fra tutti la prima edizione di The Fury of Dracula) importante è l’affidabilità dei giocatori, se non altro per evitare perdite di tempo in controlli che potrebbero rallentare il sistema nel suo complesso.
I personaggi hanno un potenziale economico da sfruttare all’inizio del gioco: soldi in cambio di equipaggiamenti. Ce ne sono tantissime di attrezzature e armi in Lupin the 3rd e tutto lascia aperta la possibilità di creare elementi aggiuntivi nel futuro, così come nuove mappe e nuove missioni.

Reminiscenze giustificate

Calare i personaggi che orbitano intorno a Lupin, che vivono avventure dinamiche e fluide, nel mondo rigido e strutturalmente limitato dei giochi da tavolo non deve essere stata cosa facile. Soprattutto se ci si trova sotto il fuoco di fila di migliaia di fan che conoscono il soggetto alla perfezione e che sono pronti a puntare il dito contro qualsiasi imprecisione. Pierluigi Frumusa ha comunque creato un gioco che scorre bene nel complesso, anche se non facilissimo da gestire, soprattutto per chi non abbia esperienza nei giochi da tavolo. Certo, non mancano reminiscenze chiare di giochi di successo, ma dai quali il progettista ha saputo trarre il meglio creando un sistema agile e abbastanza originale. L’idea di un collaborativo che non sia limitato da un astratto e freddo meccanismo automatico di gioco è l’elemento che – credo – avrà maggiormente successo. Sicuramente un meccanismo di un gioco come Battlestar Galactica non può che venire in mente alla lettura delle regole, ma questo – oltre a essere un buon motivo per sfruttare un prodotto di indubbio successo e di notevole valore complessivo – è un buon motivo per capire quanto l’esperienza di giocatore abbia contato nella progettazione complessiva del gioco.
Lupin the 3rd sarà presentato ufficialmente a Essen 2011 e, senza dubbio, dalle reazioni che sembra aver già suscitato presso il pubblico degli appassionati, avrà senz’altro il successo che si merita.

Heroica

Dopo un anno di successi su tutta la linea, con un gran numero di titoli prodotti e buoni risultati di mercato (i dati parlano addirittura di un 6% del peso complessivo dei LEGO Games nel totale del fatturato LEGO), i mattoncini colorati alzano il tiro e lo fanno un prodotto – meglio definibile come una famiglia di prodotti – che affronta una tematica cara ai giocatori di boardgames: il mondo del fantasy.
Sfruttando la tridimensionalità innata dei prodotti LEGO e applicando al mondo dei mattoni componibili elementi, strutture e soluzioni tipiche di quei prodotti Ameritrash inaugurati ormai quasi 25 fa da Heroquest, i tre autori – Nicolas Assenbrunner, Cephas Howard e Thomas R. Van der Heiden – presentano sul mercato un prodotto espandibile di forte impatto scenografico. Si tratta di Heroica, una famiglia di giochi da tavolo con mappe componibili che prevede già in partenza quattro distinte avventure, giocabili autonomamente una dall’altra, oppure combinabili fra loro.

Fantasy alla danese


Gli elementi del fantasy ci sono tutti in Heroica: un gruppo di avventurieri (maghi, druidi, guerrieri, ladri, ecc.) esplora sotterranei, castelli e dimore abbandonate ricche di tesori e infestate di presenze negative: non mancano goblin, lupi mannari, ragni giganti, non-morti, ragni e druidi oscuri; il fine è naturalmente quello di conquistare quanti più tesori possibili, uccidere quanti più nemici si presentino e – infine – avere la meglio sul cattivo di turno che si trova nell’ultima stanza o nello spazio più recondito della foresta maledetta. Il bello è che – come in tutte le trasposizioni su bg dei giochi di ruolo – con l’acquisizione di ricchezze il personaggio può acquistare armi e strumenti che gli permettano di diventare più temibile nelle avventure che seguiranno. Non esiste un aumento dell’esperienza in Heroica, ma ciò non è un problema.
Il gioco è semplice, non così complesso da considerare linee di vista, ingombri nei passaggi stretti, carichi troppo pesanti da portarsi in giro. E tutto questo è senz’altro voluto, visto il target di riferimento e il livello d’età a cui il prodotto è destinato.

Grafica e strutture tridimensionali

Parlare di originalità nell’impatto grafico di un prodotto LEGO è difficile.
Non tanto perché manchino gli spunti per la creazione di prodotti dal forte effetto estetico, ma perché la base di tutto è pur sempre il classico sistema di costruzioni conosciuto ormai da quasi 60 anni.
Mappe componibili fatte di mattoncini, facili da realizzare seguendo le classiche istruzioni intuitive senza testi scritti, tipiche di tutta la produzione LEGO, permettono di creare scenari complessi, facilmente personalizzabili, un po’ sullo stile del già citato Heroquest, fra sotterranei e corridoi, stanze e cunicoli.
Certo, con i mattoncini Lego molto deve essere immaginato, ma l’effetto è pur sempre positivo e può suggerire manipolazioni e variazioni praticamente infinite. Con le scatole base è possibile creare scenari prestrutturati (ogni scatola prevede due o più scenari differenti per struttura, utilizzando gli stessi pezzi a disposizione), ma la filosofia di base di LEGO permette, con aggiunta di pezzi in più, di creare espansioni praticamente infinite per situazioni e per dimensioni complessive.

Sistema semplice e convincente

Il sistema di gioco – come ho detto in precedenza – non è assolutamente originale, anche se prende il meglio degli Ameritrash più riusciti, il tutto creando una struttura ludica semplice da memorizzare anche da parte di bambini di prima età scolare. Sei anni di età sono infatti sufficienti a comprendere e a padroneggiare un sistema che si basa sul lancio di dado per muovere e per combattere.
Dimenticavo di dire che il sistema è il classico cooperativo di derivazione fantasy: tutti i giocatori agiscono di base contro il sistema di gioco; ma nulla toglie però (e sono previste regole speciali) che uno dei giocatori agisca da “cattivo” (o da Master, secondo una dizione più corretta), creando un confronto che è molto più interessante e dinamico. La fase di movimento è semplicissima: il lancio di dado permette di muovere un numero di spazi compreso fra 1 e 4.
Non esistono particolari difficoltà nelle attività di ricerca: forzieri, pozioni, mostri sono tutti visibili, ma nulla toglie che si possano inventare azioni particolari di perlustrazione e scoperta.
Anche il combattimento è semplificato al massimo. Il dado viene lanciato dal giocatore di turno (che controlla uno o più degli avventurieri) e – a seconda del risultato rappresentato iconograficamente su una delle facce – può subire danni e arretrare, può risolvere vittoriosamente uno scontro o pareggiare il combattimento. Il gioco termina quando l’ultimo (e più temibile) cattivo viene sconfitto, di solito nella zona più lontana dalla porta d’ingresso.
Il bello è che ogni personaggio – peraltro dotato di caratteristiche particolari a seconda delle qualità – può conservare l’equipaggiamento per le avventure seguenti, mettendo le basi per un aumento dell’esperienza che è tipico di tutti i giochi di questo genere.

Quattro mondi da esplorare

Ho già parlato delle quattro espansioni, ognuna che introduce nuovi personaggi, nuovi generi di “cattivi”, nuove ambientazioni: dal castello di Fortaan alla baia di Draida caduti nelle mani dei goblin, dalle foreste di Waldurk alle caverne di Nathuz controllate dal Signore dei Golem, il gruppo di guerrieri è messo a dura prova in scenari sempre diversi fra loro, tutti naturalmente combinabili e/o giocabili autonomamente.
Certo, il sistema al minimo della semplificazione può annoiare, ma l’intento dei progettisti è – come ho già detto più volte – quello di consentire qualsiasi manipolazione, espansione o modifica del sistema.
Belle le storie, raccontate per immagini senza il peso del testo scritto, un po’ meno ben scritti i libretti delle regole (molto è dato per scontato e questo non è sempre una buona idea), chiarissime invece le istruzioni per la creazione degli scenari.
Insomma ogni scatola è formata da una serie di elementi che concorrono a formare un prodotto ben riuscito, che vedrà sicuramente ulteriori espansioni nel futuro.
Heroica non è dunque un prodotto per giocatori d’esperienza, ma è senz’altro un articolo di grande attrattiva per piccoli giocatori che potrebbero essere i boardgamisti di domani.

7 Wonders

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Meraviglia delle meraviglie

Che da mesi io stia diventando sempre più filo francese, anche in momenti di difficoltà internazionali come quelli che stiamo vivendo in questi ultimi tempi, non è un mistero. Me ne accorgo entrando nei negozi di bg o cercando informazioni sulle novità: quando m’imbatto in prodotti d’oltralpe vengo attratto in modo quasi morboso e, almeno ultimamente, difficilmente resto deluso.
Il caso di 7 Wonders è stata un’attrazione strana. Certo, molto ha contato il nome dell’autore: Antoine Bauza, l’autore di Mystery Express e di quella entusiasmante saga che risponde al titolo di Ghost Stories. Ma la provenienza del gioco è stata comunque un elemento essenziale della scelta, unitamente all’impatto grafico e alla struttura di base che – dopo una lettura rapidissima delle regole – mi è sembrata subito qualcosa di geniale.

Un talento grafico straordinario

L’impatto grafico di un gioco attrae, lo si sa, per almeno il 70%. La scatola di 7 Wonders non è tuttavia così attraente come altri prodotti di recente produzione (penso a Cargo Noir o Mystery Express), ma la sobrietà dell’illustrazione, l’oro della grande scritta e, diciamolo, qualcosa di familiare mi ha attratto immediatamente.Un tratto alla prima irriconoscibile, con illustrazioni sobrie e curate di gente al lavoro, scorci urbani, paesaggi notturni, edifici pubblici in prospettiva che affollano i tre mazzi di carte da gioco, così come le immagini delle sette meraviglie illustrate su altrettante plance di gioco in cartone pesante possiedono un tratto artistico che mai avrei mai pensato venisse dalla penna di Miguel Coimbra. Abbandonati per un momento i tratti fumettistici che lo contraddistinguono (da Smallworld a Cargo Noir, da Battlelore a The Adventurers), con 7 Wonders Coimbra abbraccia un cambio di stile radicale, riuscitissimo, a riprova del grande talento dell’artista francese.
La confezione del gioco è curata anch’essa nei particolari, ben organizzata negli spazi e corredata da regolamenti in varie lingue, tutti ben tradotti e senza refusi. Un peccato forse per la qualità fisica delle carte da gioco, che necessitano di un’immediata copertura; così come la piccolezza del blocchetto per i conteggi finali, che – naturalmente – finisce prestissimo (anche se lo si può scaricare da internet senza nessun problema).

Cambi programmati di direzione

Ho già detto del sistema di gioco. Semplice, rapido, che prende qua e là idee e meccanismi e li rielabora in qualcosa di nuovo, di originale. Bauza affronta la costruzione delle sette meraviglie dell’antichità seguendo un’ambientazione che sta da qualche tempo interessando i vari progettisti di bg: l’epoca eroica e l’antichità; un’ambientazione che ha visto negli ultimi tempi un profluvio di prodotti tutti più o meno riusciti, tutti più o meno interessanti. Nessuno però del livello di 7 Wonders.
Dalle piramidi di Giza al tempio di Alicarnasso, dai giardini pensili di Babilonia al tempio di Efeso i giocatori tentano realizzare una delle meraviglie avanzando progressivamente lungo la scala della civilizzazione.
Sette carte vengono distribuite per ogni epoca ai giocatori. Di queste una sola può essere scelta, sempre che si abbiano le risorse disponibili per acquistarla. Queste sono già presenti sulla plancia, possono far parte di carte precedentemente messe sul tavolo oppure acquistate da uno dei due giocatori che stanno a fianco di chi gioca. Dopo aver scelto la carta i giocatori passano il proprio mazzo al giocatore a sinistra o a destra a seconda dall’era in corso. Si procede quindi nello stesso modo fino ad esaurire i mazzi. Alla fine di ogni epoca si valutano gli scontri militari, poi si ricomincia con l’epoca successiva.
I colori delle carte caratterizzano diversi aspetti: quelle grigie o marroni sono risorse, quelle rosse sono le militari, le azzurre permettono di raccogliere punti vittoria, le gialle sono carte commercio che danno punti e/o soldi a seconda della situazione, e così via. Il bello del gioco è che permette di seguire sempre strategie diverse di progressione e la combinazione di certe carte (che permettono di acquisirne altre senza alcuna spesa) velocizza gli sviluppi e rende il gioco estremamente vario. C’è chi decide di perseguire la strada della forza militare, altri che si concentrano sulla costruzione di edifici, altri ancora sugli sviluppi della tecnologia. Il fatto di passare il mazzo al giocatore a fianco permette di impedire allo stesso di entrare in possesso di carte che possano essergli favorevoli (ad esempio scartandole o usandole per la costruzione della meraviglia), cosa questa che rende le partite tutte molto diverse una dall’altra e le interazioni fra giocatori estremamente coinvolgenti.
Alla fine del gioco si sommano i punti delle carte acquistate secondo uno schema che non è semplicissimo, ma nemmeno impossibile da gestire.
Vince chi fa più punti, naturalmente, ma non necessariamente chi riesca a completare la meraviglia affidatagli. Certo è che la costruzione del colosso o del tempio dà quelle chance in più per aggiudicarsi la vittoria.

Vive la France!

Un gioco di carte, dunque, che si nasconde sotto le sembianze di un bg, riuscendo a utilizzare effetti e meccanismi di entrambe le categorie in modo così convincente da creare un prodotto che non solo è originale, ma straordinario per sistema e semplicità d’apprendimento.
Dalle partite giocate ho l’impressione che chi punti sul rafforzamento militare abbia qualche chance in più di vincere, ma si tratta – penso – di una semplice impressione, non basata su una vera esperienza di gioco. Per il resto non potrei trovare altri difetti: bellissimo da due (con regole speciali) a sette giocatori, per un tempo di gioco non superiore ai 45 minuti, totalmente svincolato dalla lingua, di grande facilità d’apprendimento e assolutamente rigiocabile. Un gioco perfetto insomma.
In Europa il gioco ha già sfondato e alla grande. Lo dimostrano i numerosi premi che ha già conquistato: dallo Swiss Gamers Award per il 2010 all’As d’Or ottenuto quest’anno a Cannes, fino al Tric Trac d’or (migliore gioco dell’anno 2010) anche questo, come il precedente, vinto in casa. Certo, aspettiamo tutti il verdetto degli amici tedeschi, visto che 7 Wonders si meriterebbe senz’altro il titolo di Spiel des Jahres 2011. Se facessi parte della giuria, non avrei dubbi per cosa votare.

Aerolinee d’Europa

Corsa alle tratte

Seguendo una tendenza quasi inevitabile, che fonda le sue radici nei mille e più giochi dedicati agli imperi finanziari ferroviari, mescolando il sistema semplificato di un T2R con un’ambientazione che – diciamocelo – non ha mai riscosso una fortuna spettacolare, eccoci di fronte all’ultimo prodotto di casa Moon: Airlines Europe, un gioco che vale per grafica, sistema e coinvolgimento di gioco.
Parlavo di background non del tutto favorevole alla trasposizione su una plancia di gioco. A parte esempi lontani, come quel Air Charter che all’inizio degli anni ’70 aveva suscitato qualche successo per lo più oltreoceano e passando per quel gioco di carte bello graficamente, ma altrettanto debole per sistema, che era l’Airlines di Knipple e Miller della fine degli anni ’90, il tema della gestione delle compagnie aeree non ha mai dato risultati ludici interessanti. Compreso l’Airlines di Alan Mood del 1990, che oggi viene riproposto con una grafica diversa e un meccanismo di gioco perfezionato (se non, in alcune parti, completamente rivisto). Se sarà un successo lo dirà il pubblico. A una prima impressione mi pare che il livello sia coinvolgente e il sistema di gioco, ancorché non complesso, dia le soddisfazioni che si merita.

Grafica “interbellica”

Airlines viene riproposto da AbacusSpiele, casa editrice tedesca che si contraddistingue per buoni materiali, per una cura abbastanza sentita nelle finiture, regolamenti quasi sempre multilingue e – almeno in Germania – prezzi abbordabili (non è il caso come al solito dei prezzi in Italia che, come sempre, non si allineano mai ai prodotti europei).
Lo stile grafico è volutamente retrò: dall’illustrazione della scatola che ricorda i messaggi pubblicitari delle compagnie aeree del periodo interbellico (l’illustrazione dello Junkers Ju-52, l’aereo da trasporto più famoso nella Germania fra le due guerre, fa capire la collocazione cronologica del gioco), allo stile sobrio ma curato della mappa di gioco, che illustra l’Europa con le linee di collegamento fra le principali città, in una dimensione non certo affollata di voli low cost fra mille e più scali aeroportuali.
La dotazione di piccoli aerei colorati è molto gradevole, così come la loro collocazione sulla mappa; un po’ meno le carte delle cedole azionarie delle compagnie, leggermente “sbiadite” e in alcuni casi non cromaticamente ben distinguibili soprattutto nei colori affini. Vista l’ambientazione d’altri tempi, l’uso delle classiche banconote in carta alla Monopoli può anche starci, ma personalmente avrei cercato strade un po’ più moderne e meno scontate. Il packaging della scatola è perfetto, con gli spazi calcolati perfettamente per il materiale in dotazione, secondo un modello che ricorda più lo stile Days of Wonder, che quello tipico delle produzioni tedesche.

Meccanismi noti, ma originali

Il meccanismo di gioco è quello classico dei giochi ferroviari di tipo azionario, senz’altro meno impegnativo rispetto alla famiglia 18XX, con una destinazione che è senz’altro verso un pubblico più ampio rispetto a questa. I debiti molto forti rispetto alla fortunata serie dei T2R del medesimo autore, naturalmente con differenze strutturali sostanziali, non stonano affatto e rendono il gioco una variante diversa e piacevole dall’acclamata serie dedicata alle ferrovie.
Diversamente dal caso di T2R i giocatori (da due a cinque) non dispongono di un colore identificativo. Gli acquisti di cedole azionarie delle varie compagnie che si trovano sul mercato (le classiche 5 carte tipiche dello svolgimento di Ticket to Ride che affiancano il mazzo di pesca coperto) a seguito dell’apertura di nuove tratte permettono l’acquisizione di maggioranze azionarie che consentono successivamente di acquisire punti a seconda del posizionamento sul mercato.
La vendita delle azioni permette di ricevere dividendi, ma queste possono anche essere scambiate per quote dell’unica compagnia jolly del gioco (la Abacus), non presente sulla mappa e che garantisce alti punteggi complessivi alla fine della partita. I giocatori possono anche non effettuare alcuna azione, cosa che fa guadagnare soldi, importanti per aprire le tratte (cioè collocare gli aerei sulla mappa). L’apertura delle tratte è vincolata al valore inferiore presente sulle stesse, cosa che garantisce al primo arrivato di pagare meno i costi di licenza.
Il completamento di quattro concessioni bonus che rappresentano tratte a lunga distanza, garantisce ulteriore punteggio alla fine del gioco
La partita termina nel momento in cui viene effettuato il terzo conteggio dei punti. Questi vengono calcolati per tre volte nel corso della partita, a seconda dell’uscita delle tre carte inserite all’interno del mazzo di pesca, secondo un modello che ricorda da vicino il meccanismo di Alhambra.

Un gioco piacevole

Il gioco è gradevole, con una difficoltà medio-bassa, adatto a giocatori di media esperienza e che permette lo sviluppo di strategie diverse e interessanti. Le interazioni fra giocatori sono molto alte. Nulla vieta di proporre alleanze o di stabilire accordi che permettano vantaggi per le parti. Uno dei sistemi classici per ottenere punti è infatti quello di accodarsi alle scelte di chi abbia le maggioranze più quotate, cosa che si può incrementare con dovuti accordi fra giocatori. Nelle (poche) partite giocate non è mai capitato di notare rallentamenti dovuti a paralisi analitiche, mentre il gioco è sempre corso senza intoppi verso la sua conclusione, dopo circa un’ora e mezza di gioco. Il numero variabile di tratte disponibili a seconda delle compagnie (che corrisponde al numero degli aeroplani in gioco) crea variabili che possono essere sfruttate naturalmente da chi conosca meglio il gioco, rendendolo interessante e assolutamente rigiocabile.
Un gioco consigliato quindi. Non un entry level, ma non per questo impossibile da avvicinare per giocatori che non trovino difficoltà con prodotti a livello di Monopoli o Risiko.
Non mi riserverò mai l’occasione di criticare i prezzi dei giochi stranieri in Italia. Non è accettabile che Airlines Europe in Germania costi 30 € e in Italia (a parte un solo negozio on line) lo si trovi a un prezzo compreso fra i 37 ai i 45 €. L’edizione tedesca viene venduta in Germania con il regolamento italiano e senza alcun aggravio di costo.
Il fatto che questo solito malvezzo contribuisca a rallentare la diffusione di questi prodotti nei confronti del largo pubblico è indubbio. Ma, a quanto pare, di fronte al guadagno tutto il resto passa in secondo piano.