Giochi sul/nel camino

Ecco il regolamento (esclusi gli scenari) di un gioco incredibile, ormai difficilmente recuperabile sul mercato

Futuro improbabile quello che fa da scenario a Kero, l’ultimo sforzo della svizzera Hurrican, distribuito in Italia da Oliphante. Un futuro (siamo nel 2471) in cui tutto sembra ruotare intorno al Kero (o cherosene, che dir si voglia). Un’ambientazione non particolarmente originale, ma che resta sempre di appeal per i progettisti di giochi: parlo naturalmente delle atmosfere assolate e polverose alla Mad Max, delle lotte fra bande, delle corse sulle piste salate dei deserti post-atomici. Un’ambientazione da cui si è lasciato sedurre anche Prospero Hall, già in evidenza in questo 2018 con un altro gioco interessante: Villanious.
Kero è un gioco da due giocatori che, al controllo di due bande di sopravvissuti, cercano di esplorare nuovi spazi in cui condurre ai loro clan una vita un po’ più agiata e sicura. Ma muoversi lungo i deserti con il cherosene che scarseggia non è una cosa semplice: le insidie sono numerose e il tempo è sempre troppo poco, così come la possibilità di rifornire i propri esploratori che, in sella a moto o a fuoristrada, devono trovare il modo di esplorare e controllare spazi geografici sconosciuti. Il tutto evitando che il clan avversario non abbia avuto la stessa idea e cerchi di rendere la vita ancor più difficile di quanto già non sia.

Due e non più di due

Un ambiente ricorrente quindi, che affonda la sua storia nei boardgames degli anni ’80, in particolare – ma solo come ambientazione – in quei prodotti à la Car Wars che sono stati scuola per una sterminata serie di giochi da tavolo. Infatti Kero non è un gioco di corse automobilistiche e neppure un gioco di duelli all’ultimo sangue su piste aride e polverose, ma un pacato (si fa per dire) gioco di accumulo risorse ed esplorazioni.
Lo svolgimento in due fasi rappresenta il cuore del gioco: una prima – di rifornimento – che vede il giocatore non di turno lanciare una manciata di dadi nel modo più rapido possibile per cercare di ridurre al massimo i tempi di rifornimento del giocatore avversario. Il rifornimento avviene infatti escludendo progressivamente, dal lancio degli otto dadi, tutti quelli in cui compare una fiamma sulla faccia superiore. Durante questa fase il giocatore di turno tiene il suo camion-clessidra in posizione verticale, permettendo al carburante di accumularsi sul lato visibile); la seconda fase – quella di raccolta risorse e esplorazione – permette invece al giocatore di turno di lanciare gli stessi dadi scegliendo i risultati ottenuti, il tutto nei tempi imposti dallo scorrere del carburante all’interno del camion-clessidra. La raccolta dei simboli permetterà di acquisire carte, particolari bonus e di inviare esploratori verso missioni di esplorazione.
Tutto qui.
Il resto è un semplice posizionamento di pedine, una scelta condizionata dalla fretta che spesso si tramuta in danni e rimpianti, ma anche in conquiste e accumulo di punti.
Nel gioco c’è anche una presenza benevola, una sorta di tribù Tuareg, che aiuta i giocatori in caso di difficoltà e che può addirittura svelarsi risolutiva in caso di impasse (come nel caso in cui si rimanga a corto di carburante mentre si stanno svolgendo delle azioni di raccolta risorse).

Tre turni per concludere

Il gioco si dipana su tre turni generali cadenzati dalla pesca di tre carte speciali posizionate all’interno del mazzo principale, secondo uno schema noto e abbastanza diffuso (il meccanismo è quello di Alhambra, tanto per intenderci). Le tre carte consentono ai giocatori di accaparrarsi le regioni in cui possiedono la maggioranza degli esploratori, i quali tornano al campo-base pronti a essere nuovamente impiegati nelle successive missioni.
Con l’ultima carta pescata il gioco ha fine dando l’avvio alla fase di conteggio dei punti. Una partita dura fra i 30 e i 50 minuti a seconda del grado di esperienza dei giocatori.

Fumetti alla Mad Max, materiali di qualità

Kero è un gioco particolarmente curato dal punto di vista grafico. Le illustrazioni fumettistiche sono a cura di Pierô (illustratore francese già noto per il design art di Mr. Jack e Ghost Stories), illustrazioni precise, leggermente tormentate, ma nel complesso piacevoli. I materiali sono di alto livello (a parte forse qualche imprecisione nelle fustelle); il packaging è curato, con scomparti in plastica modellati precisamente e senza sbavature, che ritraggono in rilievo l’illustrazione della scatola; le carte sono telate e piacevoli da maneggiare. Peccato per il fatto che non si possano imbustare, visto che l’ergonomia precisissima del contenitore non lo permetterebbe. Le clessidre – che determinano il tempo a disposizioni per condurre le azioni di rifornimento/raccolta – sono foggiate a mo’ di camion da trasporto carburanti, modellini ben curati e resistenti, che tuttavia lasciano qualche perplessità circa il periodo in cui si svolge la vicenda.
Siamo nel 2471, vivaddio… è possibile che fra 250 anni si utilizzeranno ancora camion cisterna con la stessa forma e dimensioni di quelli attualmente in circolazione?

Materiali ben curati e di alta qualità

Considerazioni generali

Il manuale di gioco, tradotto in italiano, è chiaro, ben curato e facilmente consultabile e permette di giocare il gioco quasi immediatamente, sempre che si abbia una certa dimestichezza con i bg. La struttura di gioco è infatti non immediata per un profano, mentre non presenta difficoltà a chi abbia una media competenza ludica.
Il continuo lancio di dadi che caratterizza le fasi di gioco lo potrebbero far pensare a un prodotto in cui la fortuna svolga un ruolo di rilievo, ma non è così. Sono le decisioni al limite della frenesia che fanno di Kero un gioco particolare, piacevole e abbastanza originale. L’unico problema è la ripetitività un po’ ossessiva delle fasi, che ne riduce un po’ la rigiocabilità e che ne determina quella vaga sensazione di freddezza. Il fatto poi che sia un prodotto limitato a due giocatori riduce ulteriormente il margine di appeal per un prodotto che – sebbene non sia un capolavoro – fa comunque la sua discreta figura.

Originalità: ⭐️⭐️⭐️

Ambientazione: ⭐️⭐️⭐️

Grafica e materiali: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Longevità: ⭐️⭐️⭐️

Presentazione e manualistica: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Il packaging di Kero è millimetrico. Peccato non poter avere lo spazio per le carte imbustate

Ta-pum!La terra è scossa da un fremito. I soldati abbassano la testa, le mani strette sull’inseparabile Berthier. Alcuni pregano, altri pensano alle famiglie lontane, tutti sono in attesa del fischio del caposquadra. I tedeschi sono a qualche centinaio di metri, si tratta solo di una breve corsa, la terza in meno di 24 ore e il tempo sembra mettersi al brutto.

Ecco le sensazioni che suscita Ta-pum!, un piccolo grande gioco collaborativo sulla Grande Guerra prodotto dalla francese Sweet Games, progettato da Fabien Riffaud e Juan Rodriguez e distribuito in Italia da Oliphante; un gioco di carte facile e di rapido svolgimento (30 min), splendido da vedere e giocabile da due a cinque giocatori.
Una squadra di fanteria francese esegue una serie di missioni tentando di arrivare indenne al giorno dell’armistizio. Le missioni sono eseguite avanzando progressivamente lungo un itinerario temporale rappresentato da carte che illustrano terreni, situazioni meteorologiche, armi e oggetti utilizzati nel corso della Grande guerra.
Si tratta di sopravvivere passando di missione in missione, di pericolo in pericolo, sbarazzandosi delle carte che si hanno in mano, coordinandosi con i compagni e sperando di raggiungere l’armistizio senza che nessuno della squadra soccomba, travolto dagli eventi o dai traumi di combattimento.
Turni veloci, in cui bisogna evitare di far comparire sul tavolo lo stesso evento per tre volte, scartando più carte possibile o, eventualmente, ritirandosi, sempre cercando di aiutare i compagni, cercando di non morire, di non accumulare più traumi del tollerabile.

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Un gioco splendido nella sua semplicità, per la sua originalità e per la sua ambientazione, a cento anni da quegli eventi terribili.
Un gioco tormentato e frenetico come le illustrazioni di Tignous, uno dei disegnatori più dotati di Charlie Hebdo, non scampato all’attentato del 5 gennaio del 2015.
Un gioco che consiglio, da tenere e da giocare più volte, uno di quelli che si vedono sempre più raramente nello sterile e scontato mondo dei giochi da tavolo.

 

Originalità: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Ambientazione: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Grafica e materiali: ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️

Longevità: ⭐️⭐️⭐️⭐️

Presentazione e manualistica: ⭐️⭐️⭐️⭐️

 

 

 

 

pic2365501Le (poche) persone che mi frequentano sanno che sono una persona difficile, esigente. È un limite, lo so. Eppure sono uno che tende a entusiasmarsi, a illudersi; nei giochi da tavolo, come nelle relazioni umane. Basta un particolare negativo, però, che il mio entusiasmo svanisca, si dissolva. Un problema che spesso non trova soluzione.
Ci sono poi altre situazioni, come il caso di Vienna della Schmidt Spiele, in cui continuo ad entusiasmarmi, anche quando qualche particolare negativo mi fa andare in bestia. Non si tratta di solito di elementi fondamentali. Si tratta di ombre, di particolari, che nella loro irrilevanza riescono tuttavia a rovinare il giusto equilibrio dell’insieme.

Una pecca fastidiosa

Vienna è un gioco valido, non stratosferico, sia ben chiaro, ma con una serie di particolarità che lo rendono giocabile senza doversi perdere in oscure manovre cerebrali, che dura un tempo tutto sommato limitato e che – e questa è la cosa che forse mi piace di più – è illustrato dal mio artista preferito: Michael Menzel.
Vienna mi ha entusiasmato fin dall’inizio, l’ho giocato più volte visto la durata limitata di una partita e ho anche vinto, cosa che non succede spesso. Poi, per motivi di valutazione, mi sono dovuto leggere il regolamento (fino a quel momento lasciato a chi aveva avuto la pazienza di spiegarmelo) e il mio entusiasmo si è raffreddato. Non solo, mi ha fatto arrabbiare. Un’occasione perduta per una stupidaggine. Un gioco che poteva ambire a molto di più che una semplice nomination lasciato in disparte per una cretinata non giustificabile, come un regolamento italiano tradotto con i piedi. Anzi, più probabilmente, con un infame traduttore automatico di quelli che vanno tanto di moda oggi.

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Bello e semplice

Vienna è bello, giocabile nelle due atmosfere della città: alla luce del sole, con i palazzi asburgici della Ringstrasse visti in prospettiva, oppure nella sua versione notturna che – a detta di chi se ne intende – è ideale per chi abbia problemi di daltonismo. I due lati della mappa in realtà sono identici. Il gioco è lo stesso. Cambia solo l’atmosfera.

L’impressione estetica mi ha riportato ai fasti di un gioco di qualche anno fa, sempre illustrato da Menzel: Thurn und Taxis. Sto parlando, naturalmente, solo dell’impatto estetico. Per il resto Vienna è molto diverso: è un classico tedesco leggero di posizionamento dadi, in cui la scelta di determinate posizioni sul tabellone consente di ottenere vantaggi di un qualche genere: soldi, incontri con personaggi (carte) della Vienna imperiale, carte speciali che agevolano il gioco e, per finire, la possibilità di competere con i due giocatori che ci stanno a fianco per ottenere punti vittoria. Un sistema articolato, come nella migliore tradizione tedesca, che permette di intraprendere strategie diverse a ogni partita, osservando con attenzione di quanti personaggi si circondino gli avversari, buttandosi sui soldi, sui punti vittoria, o creando la giusta miscela dei tre elementi.
Il primo giocatore che supera i 25 punti e rimane in testa ha vinto la partita. Dopo una ventina di minuti è facile concludere un incontro.

Primo alle spalle dei grandi

pic2516069_lgVienna non è un gioco estremamente originale. Deve molto a esempi classici del gioco da tavolo. Molti meccanismi ricordano giochi rigiocati all’infinito negli ultimi anni, anche se l’autore – certo Johannes Schmidauer-König, che sembra aver acquisito la fiducia della direzione della Schmidt Spiele – è riuscito a creare un prodotto tutto sommato valido, ideale – secondo il mio parere – per introdurre un neofita al gioco di stile tedesco.
Certo, nella pochezza stilistica dei titoli presentati quest’anno alla giuria del Gioco dell’Anno, Vienna non ha difficoltà a svettare su moltissimi prodotti, nonostante lo scivolone quasi irreparabile fatto sul regolamento (e non solo, ma per le stesse frasi di accompagnamento stampate sulla scatola, infarcite di orribili deliri linguistici).
Certamente, scalzare un Colt Express e uno Splendor dalle prime due posizioni è cosa praticamente impossibile, ma un posto direttamente alle spalle di quei due gran giochi mi sentirei sicuramente di attribuirglielo.

Impressioni personali

Sistema di gioco 7/10
Originalità 6/10
Grafica e packaging 8/10
Rigiocabilità 7/10

cover1-270x270Il potere del recensore, al di là che sia un potere riconosciuto, è quello di far pendere le scelte del compratore (o del lettore, o del fruitore, ecc.) verso una direzione o l’altra. È un grande potere, quando i lettori sono molti, quasi ininfluente quando chi legge è un pugno di fanatici come quelli che seguono il mio blog. Non dovrei dunque farmi un problema a stroncare o a magnificare un prodotto come Rush & Bash. Invece intendo mantenere – come si dice – un profilo basso. Mi sono riproposto di parlare dei cinque candidati del GdA, partendo naturalmente dal vincitore, Sono costretto ora a dover fare i conti con un prodotto che non mi piace, che non ha nulla di originale e che, nonostante questo, è riuscito a entrare nella rosa dei cinque candidati al Gioco dell’Anno.

Vediamo dunque, per punti, quali sono le impressioni che mi ha suscitato questo “italianissimo” prodotto, così come è stato definito da alcuni:

  • Tema del gioco: corse automobilistiche, con missili, bombe e ostacoli (è dal 1987 almeno che escono prodotti di questo tipo, a partire – a mia memoria – da Dark Future della GW, fino al più recente Rush & Crash. Sì, si chiama proprio così, non sono io che faccio casino);
  • Grafica colorata. Packaging non malvagio. Anche l’interno della scatola è illustrato. Se uno vuole leggere la descrizione del gioco sul lato superiore della scatola è costretto a ribaltare il gioco al contrario. Non si capisce perché, ma così è (in realtà si capisce, ma non vorrei entrare in polemiche). Le automobiline colorate si muovono su una pista che ricorda molto giochi come Formula Dè o Giro d’Italia (non è un problema però, tanto non tutti li conoscono);
  • Sistema di gioco: carte (ma anche dadi). Per due volte un lancio di dado mi ha fatto perdere la partita. Senz’altro sono io che ho sbagliato qualcosa. Le carte permettono a chi sta dietro di recuperare lo spazio perduto (forse è una strategia, ma non sono riuscito ad approfondire l’argomento);
  • Materiali imprecisi e approssimativi (neanche colla, bestemmie e scotch hanno risolto certi problemi strutturali);
  • Regolamento: mah, non ho ancora capito quanti giri si possano fare. Forse uno solo… non so. Per il resto è leggibile;

Qualcuno mi dice che “strizza l’occhio” a Mario Kart.
Non ho mai giocato a Mario Kart, non me ne frega niente di Mario Kart e, soprattutto, non ho bisogno di Mario Kart per valutare un gioco da tavolo.
Il resto è come quando s’incontra una persona che non ci squadra: la prima impressione è quella che conta e tutti i tentativi di ricredersi confliggono inevitabilmente con l’impossibilità di trovare qualcosa di positivo.

Impressioni personali

Sistema di gioco 4/10
Originalità 2/10
Grafica e packaging 5/10
Rigiocabilità 3/10